Proseguiamo il nostro viaggio nella storia degli house organ con “I Telefoni d’Italia”, mensile della SIP pubblicato dal 1925 al 1927. La SIP, indimenticata antenata dell’attuale Telecom, era nata nel 1918 come azienda attiva nel campo dell’energia elettrica e aveva già un suo house organ, “Sincronizzando”. Nel 1923 l’azienda cominciò a concentrarsi sul settore che l’avrebbe resa celebre e nell’agosto 1925 lanciò così “I Telefoni d’Italia”, come house organ parallelo a “Sincronizzando”. I telefoni d’Italia risulta ancora oggi di grande interesse per la straordinaria contemporaneità degli obiettivi e la profonda originalità nell’impostazione e nei contenuti.
LA STRAORDINARIA ATTUALITÀ DEGLI OBIETTIVI – Partiamo dalla presentazione della nuova rivista, tratta dal numero di settembre 1925 della consorella Sincronizzando: “È questa certo la prima volta, nella storia dell’industria italiana, in cui la società si rivolge agli utenti suoi, offrendo loro con un foglio distribuito gratuitamente il mezzo di mantenersi in contatto con essa; li invita a denunziare le imperfezioni, a collaborare perché il servizio possa raggiungere una sconosciuta perfezione, li tiene al corrente dell’opera compiuta e da compiere”. Ecco il primo elemento di modernità: un mezzo gratuito per stabilire un contatto con gli utenti, ricevere pareri e segnalazioni… Questi scopi non vi ricordano la comunicazione odierna delle imprese e l’utilizzo dei social network? Ancora più rilevante e moderno è forse l’altro obiettivo che si pone l’house organ, e cioè la rivendicazione della piena legittimità per un’azienda privata di poter gestire un servizio pubblico; un proponimento, questo, esplicitato fin dal primo editoriale dell’agosto 1925: “Purtroppo, per vasti strati dell’opinione pubblica, parlare di iniziativa privata significa alludere all’irrefrenabile e minacciosa speculazione, significa quasi voler dimenticare gli interessi generali per favorire l’ingorda ambizione di pochi capitalisti”. Dal nostro punto di vista, un punto di vista particolarmente sensibile al problema della diffusione del sentimento anti impresa nella società ed in particolare nella PA, queste parole non possono che sembrare incredibilmente contemporanee e più vive che mai.
LA COMPLESSITÀ E L’ORIGINALITÀ DEI CONTENUTI – Come nella migliore tradizione degli house organ nostrani, anche I Telefoni d’Italia, che nel 1926 arriverà a contare ben 26 pagine a numero, non si limitò a parlare dell’azienda e di argomenti affini al proprio campo, ma si fece vero e proprio vettore culturale dell’epoca. Con la rubrica “La novella telefonica”, viene dato spazio a breve racconti, sia di scrittori italiani sia di autori stranieri; in “La casa la famiglia” e “I ragazzi la moda” si ritrovano articoli dedicati alle nuove tendenze nel campo dell’architettura, della pittura, dell’arredamento e dell’abbigliamento; in “Radiocuriosità e meraviglie” si dà notizia sia dei più recenti ritrovati tecnologici nel campo della comunicazione. Notevolissima è anche l’autorevolezza delle firme coinvolte: il giornalista, scrittore ed esploratore Arnaldo Cipolla, inviato estero dei giornali «Corriere della Sera», «La Stampa» e la «Gazzetta del Popolo»; lo scrittore Curio Mortari, redattore de «La Stampa» e direttore della rivista «Tabarin»; il novelliere Michele Saponaro; lo scrittore teatrale Ferdinando Tettoni, autore anche di canzoni per il Trio Lescano; il poeta Elio Jona; i pittori Farfa e Mario Gaspare Bazzi; l’architetto Roberto Carboni; l’ingegner Ludovico De Amicis. Nel numero di gennaio 1927 I telefoni d’Italia ospita addirittura un testo inedito di Edmondo De Amicis (Racconto di un fidanzato).
Improvvisamente, a febbraio 1927 la rivista interruppe le pubblicazioni, per non riprenderle più. Non si conoscono i motivi reali della decisione; quello che è certo, è che I telefoni d’Italia in soli 18 mesi ha saputo lasciare un’impronta tangibile nella storia culturale ed editoriale del nostro Paese, con spunti di comunicazione d’impresa ancora oggi attuali.
FONTI: houseorgan.net